top of page
fiori selvatici

PER FARE UN ALBERO CI VUOLE UN FIORE

''Le  cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa ascoltare''.

Benvenuto in ''Per fare un albero ci vuole un fiore'', un progetto che nasce dall'incontro tra la passione per la letteratura e l'amore per l'arte di Mariarita e l'occhio sensibile e osservatore di Andreana. Ricco di contenuti interessanti ed esclusivi, il blog vuole essere uno scrigno dove gettare e condividere i nostri "lampi di mania."  Ci auguriamo che "Per fare un albero ci vuole un fiore" possa accendere anche la tua passione. 

Home: Benvenuto
Home: Blog2

Il tuo modulo è stato inviato!

Home: Contatti

Peloponneso coast to coast

Aggiornamento: 15 giu 2020

All'ombra di un silenzioso alloro trovai ristoro in un caldo e sonnolento pomeriggio d’estate. Appoggiai la schiena stanca al fusto robusto, poi, chiusi gli occhi e piacevolmente mi lasciai accarezzare dai sussurri della natura fino a sentirmi tutt’una con essa, fino a riconoscermi fibra dell’ellenica terra. La corteccia del possente albero mi avvolse col suo tepore femmineo e, solo allora, potei udire nitidamente un cuore vivo che palpitava sotto di essa, quasi volesse raccontarmi la sua leggenda. Era Dafne.

In un’epoca remota e indistinta, Apollo, dio del sole e della poesia, l’aveva amata e desiderata, vittima qual era dell’arco dispettoso di Cupido. La ninfa, però, detestava il suo pretendente; libera e insofferente alle nozze e agli uomini, fuggì nei boschi deserti.

L’uno spinto dalla folle passione, l’altra dal mortale terrore presero a correre per le verdi macchie. Lui le stava dietro, "ansandole dentro ai capelli sparsi sul collo"; lei, pallida, senza forza né speme, invocava Peneo, suo padre. E così, un pesante torpore le invase le belle membra, una lieve corteccia le cinse il morbido seno, i capelli si levarono in foglie, le braccia si drizzarono in rami e i piedi si fissarono in radici.

Anche mutata in alloro, Apollo l’amava e, cingendole i rami, quali fossero braccia, la copriva di baci, mentre le prometteva di "portarla sempre addosso" dentro i capelli, sulla cetra e sulla faretra.

Il dio di Delo, col suo voto d’amore, elevò e consacrò l’alloro a simbolo indiscusso della poesia e dell’immortalità.


Proprio in un’atmosfera immortale, astorica mi trovai catapultata quel dì.

Mi resi conto che in ciò consiste il fascino della Grecia: in ogni suo respiro, in ogni suo angolo ed elemento, in ogni suo sapore, rivivono, imperituri, i miti, le imprese e la gloria di quell’antica civiltà che gettò le fondamenta della cultura e del pensiero europeo.

I sentieri sterrati battuti dal sole, le filiere di ulivi e di viti, i siti archeologici, gli antichi resti di templi, teatri e tombe esercitano una sorta di malia sui viaggiatori: la mente torna ai tempi delle antiche favole dei sapienti, all’epoca felice e fortunata in cui la natura era amata dagli uomini, all’era delle divinità, degli eroi e degli aedi.

La terra ellenica, riecheggiando alle mie orecchie e al mio cuore ardente, canti e liriche passate mi svelò il segreto che i versi finali del carme "Dei Sepolcri"custodiscono gelosamente:


[...] "Gemeranno gli antri
Secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
Splendidamente su le mute vie
Per far più bello l’ultimo trofeo
Ai fatati Pelìdi. Il sacro vate,
Placando quelle afflitte alme col canto,
I prenci argivi eternerà per quante
Abbraccia terre il gran padre Oceàno.’’ (Ugo Foscolo)


Un mistero che gli antichi greci, grandi conoscitori dell’animo umano, avevano scoperto e trasmesso ai posteri; un arcano troppo spesso ignorato dalle attuali generazioni: solo la poesia può realizzare il desiderio innato dell’uomo di essere “eterno”.

Quando anche le tombe verranno cancellate dal tempo, i versi del poeta Omero riusciranno a sconfiggere “il silenzio di mille secoli” dando ai combattenti, vincitori o sconfitti, fama perenne.

Fu per prima Elena, regina di Sparta, la donna più bella del mondo antico, tentatrice odiata ma affascinante, casus belli e ''cagna fedifraga'', a dichiarare l’immortalità che deriva dalla poesia. A lei Omero affidò il suo più prezioso lascito: “e anche in futuro noi saremo cantati fra gli uomini che verranno…" (VI, Iliade).




Un’altra donna, questa volta non frutto della fantasia letteraria, riprese e sviluppò il messaggio della ''poesia eternatrice'', implicito nell’epos omerico: Saffo.

Della sua figura, già soggetta all'irrisione grottesca dei comici antichi, si impadronì la leggenda: la si disse piccola, di carnagione scura, di scarsa avvenenza; si fantasticò di un suo amore infelice per il barcaiolo Faone, che l'avrebbe portata a suicidarsi gettandosi nel mare dalla rupe di Leucade. È dubbio che abbia conosciuto e amato Alceo, come farebbero pensare un verso famoso del poeta e alcune raffigurazioni vascolari.

Ella scrisse: «Tu giacerai morta, né più alcuna memoria di te mai resterà in futuro: ché tu non hai parte delle rose della Pieria, ma anche nella casa di Ades vagherai oscura fra le ombre dei morti, sospesa in volo lungi da qui.»

La poetessa lamenta la sorte di una defunta a noi sconosciuta, che non potrà trovare conforto nella promessa dell'immortalità garantita dai versi, una speranza che, invece, Saffo sembra convinta (e a ragione, dirà la Storia) si possa per lei concretizzare.


Lontani dal contesto storico e culturale di Lesbo e del tìaso (la comunità di fanciulle aristocratiche di cui Saffo curava l'educazione all'eleganza, alla musica e al canto, in preparazione delle nozze) furono Pindaro e Simonide, tra i più celebri esponenti della lirica corale, legata ad occasioni pubbliche religiose o profane, dal carattere collettivo, comunitario.

Pronto un tesoro di inni è stato innalzato nella valle di Apollo splendida di ricchezze; questo né pioggia tempestosa […] né vento […] potrà spingere negli abissi del mare”, così il primo proclama nelle Nemee (4,8) paragonando la poesia a una stele di marmo. Ancora il secondo: “un tale funebre ammanto né la ruggine distruggerà né il tempo che tutto doma”.


Riscoprii, in quel momento, quella straordinaria fiducia nelle parole che avevo, sbadatamente e per anni, lasciato al fondo della mia coscienza e che, sin da piccola, avevo riversato su pagine di diari o su fogli improvvisati. Ritrovai la convinzione che esiste davvero un modo per distruggere le barriere geografiche e cronologiche in cui siamo costretti, che è possibile sottrarsi all’inesorabilità del tempo, al suo potere distruttivo e, soprattutto, vincere gli angusti confini della nostra condizione esistenziale.

E quel modo è la POESIA, la più alta sfida alla mortalità.




RIFERIMENTI:


Il mito di Apollo e Dafne: Le Metamorfosi, Ovidio



© Riproduzione riservata

Comentários


Modulo di iscrizione

  • facebook
  • instagram

©2020 di Per fare un albero ci vuole un fiore. Creato con Wix.com

bottom of page