Mauschwitz, Dio non veniva qui.
- terrycastaldo
- 27 gen 2021
- Tempo di lettura: 2 min
L’ abominio dello sterminio degli ebrei viene raccontato, in modo inedito, nelle vignette del graphic novel di Art Spiegelman: “Maus”.
Attraverso la metafora degli animali, che consente di rappresentare gli ebrei come topi e i nazisti come gatti, la persecuzione e la morte acquistano la valenza della struggente realtà storica, raccontata dai ricordi di un padre sopravvissuto, trasmessi al figlio della speranza, concepito dopo l’orrore della guerra.

Vladek, il sopravvissuto, è un uomo dalla personalità difficile e contraddittoria, ma dall’animo forte, straordinariamente aggrappato alla vita, capace di lottare, instancabilmente, insieme alla moglie, senza arrendersi mai alla morte, nemmeno nei momenti più atroci, neanche quando vede la sua famiglia di origine sterminata, senza alcuna pietà, dalla furia nazista.
Vladek resiste alla fame, al gelo, al lavoro disumano, alle torture fisiche, alle attese infinite nei vagoni merci nell’aspettativa di vivere un destino profondamente incerto e buio, dove l’unica luce, fioca e a stento percettibile, è la speranza di ritrovare la moglie viva; moglie che, poi, pur riuscendo a sopravvivere, si suiciderà, evidentemente non riuscendo a sopportare il senso di colpa per essere ancora in vita, mentre tanti, troppi, uguali a lei, erano stati spazzati via.

Nella descrizione delle sofferenze e degli stenti vissuti nei campi di concentramento, Vladek arriva a concepire un pensiero, che diventa una sua certezza: Dio non era lì con loro nella lotta per la sopravvivenza.
Resta, sullo sfondo, un inquietante ed irrisolto interrogativo esistenziale: il perché di tanto Male e di tanto orrore, privo di qualsiasi forma di umanità. L’unica spiegazione accettabile, eppure non veritiera, è che i protagonisti di questa atroce realtà storica non sono gli uomini, dotati di raziocinio e di anima, di sensibilità e di comprensione, di compassione ed empatia, ma sono solo rozzi animali.

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