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fiori selvatici

PER FARE UN ALBERO CI VUOLE UN FIORE

''Le  cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa ascoltare''.

Benvenuto in ''Per fare un albero ci vuole un fiore'', un progetto che nasce dall'incontro tra la passione per la letteratura e l'amore per l'arte di Mariarita e l'occhio sensibile e osservatore di Andreana. Ricco di contenuti interessanti ed esclusivi, il blog vuole essere uno scrigno dove gettare e condividere i nostri "lampi di mania."  Ci auguriamo che "Per fare un albero ci vuole un fiore" possa accendere anche la tua passione. 

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Le Radici nella Letteratura: alla ricerca di sé, tra appartenenza e sradicatezza.

Conoscere se stessi costituisce il motore e, insieme, il fine ultimo di quella febbrile e interminabile ricerca esistenziale e filosofica che l'uomo porta avanti, senza tregua, sin dalle sue origini. Come un indefesso esploratore, egli si inabissa nei meandri più tortuosi e segreti della sua anima, per scovare e riportare in superficie il proprio "porto sepolto".

Nel corso di questa immersione, l'individuo si trova a considerare quella complessa rete di valori, simboli, aspetti e significati che connotano la condizione umana.

La definizione e la conseguente conoscenza di se stessi non può prescindere dalla costruzione della propria identità, a partire da quella etnica e geografica. L'uomo, infatti, ha sempre mostrato una certa tendenza ad autorappresentarsi alla luce delle sue origini, del rapporto con la sua terra natale, in relazione al modo di vivere il suo sentimento di appartenenza.

Non è un caso, allora, che scrittori e poeti di ogni epoca abbiano fatto della letteratura, specchio e contenitore della realtà, lo spazio privilegiato da cui condurre la riflessione intorno alle proprie radici.

Letteratura e mondo si stringono in un legame indissolubile. Innanzitutto la letteratura parla del e al mondo, ma non solo; essa crea universi, realtà e utopie, che vivono e si esauriscono nello spazio finito e delimitato delle pagine scritte. In secondo luogo, va considerato il modo, a volte viscerale, altre ambiguo e tormentato, con cui i letterati vivono la loro identità etnica, al punto da fare dei luoghi e dei paesaggi a loro cari non solo lo sfondo, ma addirittura il cuore pulsante dei loro capolavori.



''Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.'', così Cesare Pavese, nella sua ultima opera, ''La luna e i falò'', svolge il grande tema del ritorno alle radici, al luogo dove si nasce e si muore. Il protagonista, Anguilla, torna al suo paese natio dove ha miseramente vissuto da bastardo, torna dall'America, il paese che nel libro rappresenta la sradicatezza. Il suo soggiorno presso le colline, da dove può rievocare ed esplorare il passato, le memorie lontane e felici dell' infanzia, rappresenta un viaggio verso le origini, verso il riconoscimento, in una peregrinazione di conoscenza.

Il protagonista torna da lontano per rivedere l' identico: "Stessi rumori, stesso vino, stesse facce di una volta... Era strano come tutto fosse cambiato eppure uguale".

Dietro al ritorno al paese natale , però, non si cela soltanto il gusto di ritrovare nostalgicamente le proprie radici, ma è sottesa la viva speranza di un nuovo radicamento e di una sicura identità.

Nelle tormentate pagine di questo romanzo, si coglie la profonda sensibilità geografica dell'autore, le cui opere potrebbero essere definite come un inno alla terra madre.

Leggere Pavese significa perdersi nelle Langhe piemontesi, in un passato mitico-contadino caratterizzato da colli, vigne e boschi, cogliere di questi luoghi l'essenza più profonda, la forza ancestrale e le contraddizioni. È in queste terre, che lo scrittore ha scoperto, durante l'infanzia, la passione, l'esplosione degli istinti, il fluire della vita.


Dall'altro capo dello stivale, e in anni diversi da quelli appena considerati, vi è la Sicilia di Giovanni Verga. Nonostante l'autore, d'origine catanese, abbia vissuto gran parte della sua vita lontano dall'isola, quest'ultima rimane costante delle sue opere: dalla caratterizzazione dei personaggi, ai loro nomi, passando per lo sfondo e l'ambientazione. Le opere di Verga hanno cristallizzato una Sicilia di carattere prevalentemente rurale, l'hanno presentata all'immaginario collettivo come terra di pescatori, zolfatari, contadini, lettighieri, rappresentanti ecclesiastici adulatori di denaro e potere. Un territorio di tradizioni, credenze superstiziose, festività religiose, ma anche di prevaricazioni, sopraffazioni e di disonestà.

Il mondo siciliano era come tramato nella mente dell'artista, era fuso nel suo sangue nella sua educazione, nei suoi ricordi, ed egli, rispetto ad esso, si trovava in una situazione nostalgica: aveva quella tale visione a distanza, quel covare nella memoria, che è la prima condizione della poesia, quella capacità di sogno sul mondo che ieri è stato anche il nostro mondo. [Russo].

Tuttavia il magnetico richiamo della Sicilia, e in particolare della provincia di Catania, non può essere interpretato semplicemente come un sentimento nostalgico da parte di un uomo lontano dalla sua città natale. Esso è conseguenza naturale di quel potente fascino che sullo scrittore esercitava la sua isola, una terra dalle millenarie tradizioni e dal suo personale e poetico desiderio di penetrare l'anima del suo popolo, descrivendo i caratteri e le abitudini.


Verga e Pavese, due realtà letterarie profondamente diverse per sensibilità, attitudini, scelte e, non per ultimo, per provenienza geografica, sembrano intrecciare le loro voci nell'affermazione della potenza e del tormento dell' Appartenenza.

''Com'è difficile staccarsi dai luoghi. Per quanta attenzione facciamo, ci trattengono. E lasciamo pezzetti di noi stessi sui paletti delle staccionate, piccoli stracci e brandelli della nostra vita.''


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