Il Fiore del Partigiano e le Donne della Resistenza
- Andreana Caruso
- 20 apr 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Dopo 5 anni di guerra e 20 anni di occupazione, gli italiani riuscirono a liberarsi dalla frusta nazifascista. Il bisogno di celebrare in un solo giorno la Liberazione era un grido di umanità.
Il 25 Aprile 1945, i Partigiani entrarono nelle città di Milano e Torino proclamando la fine del ventennio Fascista e la condanna a morte di Benito Mussolini.
Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, oggi 25 aprile, in nome del popolo e dei volontari della libertà e delegato del solo governo legale italiano, ha assunto i poteri di governo
La data è, in realtà, in parte simbolica. La Guerra continuò ancora per qualche giorno, fino al 1° Maggio, quando i Partigiani con l’aiuto degli alleati Americani riuscirono a liberare l’intero Settentrione. Fu nel 1949 che, su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il 25 aprile divenne un giorno festivo.
Il sentimento di emancipazione dalla Forza Tedesca aveva inondato lo Stivale già da molti anni. Le prime dighe della Resistenza si ruppero, infatti, a partire dal 1943: era la nota Rivolta Partenopea.
A guidare la piena del sud furono i Napoletani con le note “Quattro giornate”, che iniziarono il 27 settembre come reazione ai rastrellamenti operati dalle SS. Eppure, non furono i soli sotto la linea di Montecassino.
Nello stesso anno impugnarono le armi contro i tedeschi gli abitanti di Matera, il 21 settembre; di Nola, il 26-29 settembre; di Scafati, il 28 settembre; di Acerra, il 1° ottobre; di Santa Maria Capua Vetere, il 5-6 ottobre. A Maschito, un piccolo paese in provincia di Potenza, la popolazione si ribellò contro la guerra e la monarchia costituendo addirittura una "Repubblica".

Negli anni in cui gli Italiani erano stati privati della capacità di intendere e, soprattutto, di volere; negli anni in cui agli Italiani era stata tolta la possibilità di riunirsi e di incontrarsi davanti al Bar per uno scambio di idee, di cantare la propria canzone preferita, di indossare gli abiti che meglio potevano esprimere la loro personalità, anzi, di avere una personalità; in quegli stessi anni, essi desideravano la Libertà e la Democrazia.
Vero o meno che “il fine giustifica i mezzi”, la lotta Partigiana fu l’unico Mezzo possibile, ed è la Storia che ce lo insegna.
Uomini e Donne si armarono contro il nemico Fascista, lottando sui Monti della Penisola, abbandonando le proprie case e le proprie famiglie, in nome della Libertà.
Le pagine di storia non riferiscono molto spesso del sesso femminile che si unì alla battaglia. D'altronde nella storia romana avete mai letto delle Gladiatrici?
In ogni riga che ricostruisce il passato di questa civiltà affiora la cultura tradizionalista del popolo italiano. Non emergendo il ruolo delle Partigiane, emerge l’idea di donna, madre e moglie che mai avrebbe potuto impugnare le armi.
Gli stessi Partigiani non riuscivano ad accettare l’immagine di una donna con le armi. E così, ad esempio, Carla Capponi racconta che, per procurarsi una pistola (i suoi compagni della Resistenza gliela negavano), non poté far a meno che rubarla ad un milite che si trovava vicino a lei nell'autobus.
Accanto a quella di Carla Capponi si può ascoltare la storia di Modesta Rossi, attraverso la canzone “La casa del vento”: il fascista gli strappò via il vestito, urlando e picchiando… Giacevano a terra il suo corpo e quello del figlio del Partigiano.
La resistenza è stata una rete sparsa da nord a sud e a rendere possibile tale disegno furono le staffette, donne tra i 16 e i 18 anni, che garantivano il collegamento tra le varie brigate.
Armate solamente di coraggio, viaggiavano per portare informazioni, messaggi, cibo e medicinali agli eroi dei Monti. Abiti quotidiani come scudo e una bicicletta come mezzo, le staffette di notte lottavano per la libertà e di giorno lavoravano per aiutare le proprie famiglie, che spesso nemmeno erano a conoscenza del loro ruolo.

Numerose tra loro erano quelle che cadevano nelle mani dei nazifascisti per adempiere alla propria responsabilità. Mai, però, esse lasciarono che la rabbia per l’impossibilità di portare con sé un’arma di difesa vincesse sul desiderio del Bene Comune. Mai le staffette smisero di pedalare e correre in città verso le brigate. Mai permisero che la paura potesse soggiogare il Futuro.
Nella storia della Resistenza si registrano circa settantamila donne, tra Staffette e Partigiane, le quali presero parte alla lotta che condusse, poi, al referendum per la scelta tra Monarchia e Repubblica. All'alba della Libertà, molte non vollero alcun riconoscimento: avevano semplicemente compiuto il loro Dovere. Solo 16 di esse sono state ufficialmente insignite. La loro vita non fu semplice, nemmeno tra i compagni, la cui stima, per cultura dilagante dell’epoca, fu una strada tortuosa.
Furono le Emozioni, quelle stesse che renderebbero la Donna incapace di governare, a guidare la lotta per il Fiore della Libertà. Lotta che condusse alla realizzazione della Carta costituzionale, alla cui formazione parteciparono 21 donne, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

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