DIARIO D'OTTOBRE
- Andreana caruso
- 17 feb 2020
- Tempo di lettura: 3 min
I caldi raggi del sole, che penetrano attraverso le persiane semi-aperte, in un gioco di luci e ombre, mi regalano un lieve tepore. Il cielo terso, i remoti cinguettii, il dolce soffio del vento, il rumore dei calci al pallone rimandano i miei sensi alla primavera, eppure siamo già in autunno.
Le foglie hanno cominciato a mutare il loro colore.
Ora gialle e splendenti, in un ultimo guizzo di vita, attendono di spegnersi, di morire e di abbandonarsi al suolo, lasciando gli alberi nudi, esposti alle intemperie che verranno.
Quale metafora, se non quella della foglia, potrebbe rappresentare meglio la fragilità di noi esseri viventi?
«Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini; le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva fiorente le nutre al tempo di primavera; così le stirpe degli uomini: nasce una, l’altra dilegua»
Così Omero descrive la condizione umana nel VI libro dell’Iliade. Il poema abbandona la logica eroica e collettiva, per concentrarsi sull’effimero, l’accidentale, il particolare: uomini come foglie nel susseguirsi inesorabile delle generazioni, nel flusso indistinto dell’esistenza.
L'immagine di stampo omerico offre spunti e riflessioni ad altri poeti, antichi e contemporanei. Mimnermo, poeta elegiaco greco del VII sec. a.C., ricordato per i suoi distici sull’amore, riprende il paragone tra uomini e foglie, per esprimere il dolore per la fugacità della giovinezza e l’orrore per l’incombenza della vecchiaia.
«Al modo delle foglie che nel tempo
fiorito della primavera nascono
e ai raggi del sole rapide crescono,
noi simili a quelle per un attimo
abbiamo diletto del fiore dell’età,
ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.
Ma le nere dèe ci stanno a fianco,
l’una con il segno della grave vecchiaia e l’altra della morte.
Fulmineo
precipita il frutto di giovinezza,
come la luce d’un giorno sulla terra.
E quando il suo tempo è dileguato
è meglio la morte che la vita.»
E come non citare la straordinaria poesia di Ungaretti, Soldati:
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.
I soldati, stremati dalla guerra, distrutti dalle perdite, ammassati nelle trincee, assurgono ad emblema della fragilità e della precarietà dell’esistenza.
Le nostre vite sono inesorabilmente e inevitabilmente caduche, fugaci. Spesso ci si sente fragili, proprio come le foglie; si cerca di tenersi aggrappati al grande albero dell’esistenza, ma non sempre la presa è forte e sicura. Molto spesso si desidera lasciarla la presa e abbandonarsi al vento, per non provare e sentire più niente. Ma la natura, la grande madre, ci offre ancora una volta un insegnamento prezioso: la foglia, dinanzi alla consapevolezza della sua essenza effimera, mortale, temporanea, sceglie di essere radiosa e splendente, di illuminare l’albero che l’accoglie, prima di morire. Un fenomeno che sembra comunicarci di più, che sembra dirci qualcosa sul senso del nostro breve percorso sulla terra.
Dovremmo impegnarci a rendere radiose e splendenti le nostre esistenze e le nostre anime.
Dovremmo trasformare le tenebre della paura e dell’ansia in luce;
dovremmo convertire la nostra vulnerabilità e instabilità in forza.
Dovremmo mutare le lacrime in poesia. E questo è il mio punto di partenza.
Queste sono le mie ‘’rose dentro l’abisso’’:
L'anima è stanca di coltivare sogni a metà
Eppure resto immobile
Inerme... Inerte...
Schiacciata dal peso delle ambizioni mancate
Frustrata dalla mole degli obiettivi non centrati
Ancorata a queste quattro pareti,
Aggrappata a questa pagina bianca,
Protesa verso un illusorio domani.
L'anima è stanca di inventare bugie
per tappare i suoi buchi.
Urlo muto,
Pianto invisibile.
Sono macigno,
Ma il cuore sospira:
Sii piuma
Ancora.

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