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Adolf Eichmann: il volto della banalità del male

Aggiornamento: 4 feb 2020

''Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”.

L'11 aprile del 1961 a Gerusalemme inizia il processo al criminale nazista Adolf Eichmann che si conclude nel maggio dell'anno successivo con la sua condanna a morte per impiccagione.

E' un momento storico fondamentale. Si tratta, infatti, del primo processo che si svolge in Israele, alla presenza di testimoni - i sopravvissuti alla Shoah.

La consuetudine si ribalta: di solito, durante un processo, le ''luci dei riflettori'' sono puntate sull'imputato, ma questa volta protagonisti sono gli ebrei, con le loro tragiche testimonianze. E non solo. Per la prima volta sono gli ebrei che siedono sugli scranni della corte; per la prima volta giudici ebrei sono chiamati a giudicare un non-ebreo per fatti che hanno visto l'ebraismo non solo sotto accusa ma violato, distrutto. L'evento ha un impatto mediatico fortissimo: è la prima volta che un processo viene trasmesso in tv. Quello ad Eichmann si trasforma, così, nel processo mediatico del secolo. Gli occhi di tutta l'umanità si fissano, feroci e spietati, contro uno dei maggiori organizzatori dello sterminio degli ebrei in Europa.

Eichmann è una figura ambigua. Portamento distinto, profilo basso, tono medio; lo sguardo, quasi protetto dai grandi occhiali da vista, tradisce un sentimento di stanchezza, di arrendevolezza, di rinuncia, piuttosto che l'impeto e l'aggressività di un criminale. Tutti, compresa Hannah Harendt, che seguì il processo come reporter del ''New Yorker'', per poi trascriverne il resoconto in "La banalità del male", si aspettavano di ritrovarsi dinanzi un uomo spietato, che mai si sarebbe pentito delle sue malefatte.

Eppure Eichmann si rivela un uomo mediocre, dalla scarsa cultura e consapevolezza di sé. Alle pressanti domande del Pubblico Ministero circa il suo ruolo in quella tragedia, egli risponde di aver semplicemente eseguito degli ordini impartitigli dall'alto. Afferma di non sentirsi colpevole, di non aver mai agito di sua iniziativa e sostiene di non aver mai odiato gli Ebrei, di non aver mai voluto il loro massacro. La sua colpa è stata l'ubbidienza, da sempre ritenuta una virtù. Di questa sua virtù i suoi capi hanno abusato: è stato quindi una vittima. Eichmann se la prende poi con la sfortuna e il destino: "Il suddito di un governo buono è fortunato, quello di un governo cattivo è sfortunato. Io non ho avuto fortuna". Dice tutto ciò con tono mite. Il tono di chi è convinto di aver la coscienza a posto.

Hannah Arendt definisce Eichmann: “l'incarnazione dell'assoluta banalità del male”.

E' un uomo banale che vive delle idee altrui non avendone delle proprie e che tenta di trarre da questo finto e presunto idealismo quei meriti che gli avrebbero consentito di uscire dalla sua mediocrità. La stessa Arendt, dopo il processo, smentisce se stessa: se ne “Le origini del totalitarismo” aveva sostenuto che il male è radicale, dopo aver visto chi era realmente Eichmann, afferma che il male con lui è diventato banale, senza profondità e senza spessore.

“La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive.”

E il male che si concretizza nella persona di Eichmann, un uomo all'apparenza normalissimo, è davvero banale. E' un male che non si origina da un'innata crudeltà, da un trauma o da un'esistenza di vessazioni e abusi. E' un male che nasce dall'assenza di pensiero e dall'incapacità di confutazione. E' un male che viene compiuto e perpetuato da colui che smette di coltivare e nutrire il proprio pensiero, che rinuncia a riflettere e segue indistintamente le ideologie dominanti, la ''causa''. E' un male che si nutre dell'inconsapevolezza, della superficialità, dell'ignoranza.

Di fronte alla storia, però, non possiamo restare incoscienti.

Non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo dimenticare.


Oggi non abbiamo voluto raccontare la storia ma descrivere un volto. La storia continua inesorabilmente e inarrestabilmente il suo corso. Dunque, se il volto del passato è stato Eichmann, i volti del presente siamo noi.



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